Chiara Ferragni nei panni di Sailor Moon: it’s rosik over 9000

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Di Redazione Metropolitan

Chiara Ferragni, la nota influencer italiana, genera l’ennesima polemica. Questa volta, ad attirare le ira di un numero consistente di indignati, è nientepopodimeno che il suo cosplay di Sailor Moon.

E’ ormai ordinaria amministrazione: dove ci stanno Fedez e consorte, sul web, è attacco premeditato. Nella moltitudine di esempi a cui potersi appellare, l’ultimo ha catturato la mia attenzione da nerd ed ex cosplayer navigata.

Chiara Ferragni nei panni di Sailor Moon – Photo Credits: instagram

Partiamo dalla basi, quelle proprio etimologiche, per indottrinare le masse rimaste ancora immuni a questo fenomeno ormai molto poco “di nicchia”.

Cosplay – le origini

La parola cosplay, analizzata nel suo significato, è la forza risultante di un connubio: “costume” e “play”. All’attivo, se vantiamo anche un livello A1 in inglese, si capisce subito l’intenzione a monte di questo hobby. Il cosplayer è, perciò, chi interpreta un personaggio, emulandone l’aspetto e le gesta.

Questa pratica, che affonda le sue più robuste radici nel terreno fertile del Sol Levante, nasceva in realtà in America nel ’39. Una realtà casuale e sporadica che, proprio in Giappone, ha fatto degli anni 90 la decade favorita per imporsi definitivamente.

Cosplayer di Asuka da Neon Evangelion – Photo credits: web

Neon Genesis Evangelion, la serie anime diretta da Hideaki Anno, è stata la prima memorabile musa ispiratrice del settore. Nel 1995, infatti, la stampa giapponese immortalava un gruppo di appassionati nei panni dei loro beniamini. Galeotto fu quello scatto in quel di Tokio; il cosplay aveva dichiarato ufficialmente il suo debutto e le proprie mira espansionistiche nel resto del mondo. E tutto il resto è solo storia.

Eppure, nonostante le fiere del fumetto oggi siano diventate mete di assalto ed eventi oltremodo inflazionati, le origini di questa passione sono tutt’altro che incontrastate. I pionieri di questo fenomeno, nerd e otaku per forma mentis, non hanno avuto vita facile durante le prime esposizioni. L’Italia, distante anni luce dalla cultura nipponica, non è stata sicuro tra gli insediamenti più accoglienti.

Tra gli appellativi più ricorrenti, “sfigati” e autori di “carnevalate” si sprecavano senza remore. Il cosplayer medio, agli albori di questo fenomeno, era tendenzialmente cosciente d’essere considerato dai più “stramboide”. Ed è stato tramite le vessazioni subite dai precursori che la tenacia è stata ripagata e il cosplay è diventato figo. Oserei dire d’élite, allo stato attuale.

Le meraviglie di Kamui – Photo Credits: web

Cosplay – oggi

Oggi, col cosplay ci “fai carriera”, ci vinci le gare prestigiose, tra cui il WCS a Nagoya, e se oltre alla bravura nella realizzazione dei costumi, madre natura ti ha dato una spintarella notevole, puoi addirittura diventare influencer. Proprio come la Ferragni, o quasi.

Dov’è che voglio arrivare?

Gran parte degli insulti indirizzati alla bionda imprenditrice (naturale gente, parrucca a parte), sono stati generati da una schiera indomita di cosplayers inca**ati come tori. Sì, proprio gli eredi di quelli che venivano perculati e scherniti a più riprese. E l’attacco alla signora di instagram è quanto di più esplicativo ci possa essere.

Dal classico appunto sul costume, al commovente “torna a fare l’influencer, non sei degna di fare cosplay” e il naufragar m’è dolce in questo mare. Sì, un mare di risate.

Signori, se la logica non è un optional, qui siamo davanti ad una pura inversione dei ruoli: la classe bullizzata per anni, diventa tra le prime dissacratrici del proverbio “non fare agli altri, quello che non vorresti fosse fatto a te”. Elementare, Watson!

Sono anni che l’ambiente del cosplay è infestato da un lezzo sgradevole di arrivismo e superbia, manco si dovesse competere per il Nobel alla pace, l’Oscar o il Pulitzer. Si guarda all’altro con la stessa propensione omicida di una donna che scova una sventurata vestita uguale a lei, ad un matrimonio.

Il vero, reale obiettivo di questo semplice hobby è stato depotenziato del suo vecchio significato: il divertimento. No, non è ‘na roba che si magna, è quel sentimento che permea le passioni e lega chi ne è accomunato.

Gruppo Marvel cosplay – Photo credits: web

Parentesi scontata e obbligatoria a parte, Chiara Ferragni “osa” portare in auge per una volta, più di quanto non lo sia già, un fenomeno che qualche minoranza definisce ancora bislacco, e il popolo del settore che fa? Si indigna?

Tralasciando l’evidenza che pure un peto di questa donna, disperso nella stessa aria che tutti noi contaminiamo, crei disonore, vorrei descrivere obiettivamente i fatti: costei, nei panni dell’eroina che veste alla marinara, sta benone. Anche meglio di molte altre cosplayer di “professione”, d’altra parte. Così è. Rilassiamoci, quindi. Guardate al passato e cambiate rotta.

Ps: per il bruciore consiglio l’applicazione di Bepanthenol, in loco.

ALESSIA LIO

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