Identikit di uno stupidello

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Di Redazione Metropolitan

C’è qualcosa di peggio della stupidità?

Buonasera a tutti carissimi, benvenuti al QUIZZANDONE, l’unico quiz con domande davvero importanti.

“Sig.ra Virginia, benvenuta, benvenuta a lei, allora, cosa risponde a questa nuova brillante quizzandona”?

Si alza ad applaudire il pubblico, le luci in circolo si abbassano, come tanti occhi febbricitanti e si mettono seduti sul perimetro del pavimento. Rulla il tamburo, gira una ruota a caso, din dlon suona il campanello: la Sig.ra Virginia è pregata di rispondere all’interno 3, la Sig.ra Virginia è pregata di rispondere al reparto 2, ripeto: la Sig.ra Virginia è richiesta a reparto:

“Si, si senza dubbio”

Peggio della stupidità c’è la bella stupidità, o, per meglio dire, esemplificando e personificando il concetto:

Il bello e stupido.

Jhonny Bravo

Ma partiamo con ordine, cercando di formulare la tesi, arrivare al risultato, dimostrandolo come faremmo con un’equazione matematica.

Il bello e stupido è un genere di essere umano che ha avuto la fortuna di nascere con: occhi chiari, alto, longilineo, armonia di proporzioni, occhi scuri. E biondo o moro che sia (rosso quasi mai), rispetta i criteri della bellezza classica.

Raramente si scosta dall’anonimità di modelli o lacchè, ma non è sua la colpa né (bene inteso) suo il merito; è infatti cosa nota al pubblico che il corredo di geni che ci contraddistingue, non è scelta arbitraria. Arbitraria forse è quella cornuta della natura, che mette nasi dritti e storti, calvizie e ossa grossa senza ratio spiegabile.

A suo favore spezzerò qui una lancia, l’unica arma che non userò per infilzare il suo ego, perché, insomma, diamo a Cesare quel che è di Cesare.

Il bello e stupido è uno sportivo. E si sa, ci vuole disciplina, che è una virtù.

Virginia, capelli sciolti al libeccio, accovacciata sul suo cavallo al galoppo, saette negli occhi e tuono gravido in bocca, pelli di animali per vesti, un dito che indica, una mano che impugna orizzontale l’arma, affilata dallo scherno.

E quell’attimo prima di infilzare il petto Virginia.

Virginia spezza sta cazzo di lancia.

Una virtù.

Da piccolo era un’atleta, cintura nera, tennista (se ricco), nuotatore o ballerino (se gay), che poi ha smesso di esserlo, trasformandosi durante la metamorfosi dell’adolescenza, nell’ennesima massa di muscoli localizzati dai pesetti della Virgin. Se povero, va bene anche la palestra all’incrocio, quella di fianco al kebabbaro.

La palestra sta al bello e stupido come la chiesa sta ai cattolici, ma con frequenza maggiore, molto maggiore, ossessivamente maggiore, fino ad essere l’altare in cui recarsi sette giorni a settimana, a sgranare esercizi, invece che grani di rosari. E comunque, se glielo chiedete, state certi che i belli e stupidi son pure credenti. Amen.

E così, a parte il kebab del venerdì, il bello e stupido fagocita proteine per mantenersi in forma, ne ho conosciuto uno una volta, che mi ha raccontato di una ginecomastia (glie so cresciute le tette) dovute al tacchino.

Certo una cima non era. Il bello e stupido mangia spesso il tacchino, il pollo, le uova, i chiari d’uovo, l’uovo in polvere, il rosso, lo zabaione, la meringa. Attenzione quindi a chi mangia queste cose, anche in ordine sparso, potrebbe essere bello e stupido.

E mi dirai: ma stai facendo discriminazione Vi®ginia? Discrimini le persone in base a ciò che mangiano? Pensi che mangiare le uova sia da belli e stupidi? Voce stridula che stride sempre di più. Lo zabaione?

Calmiamo gli spiriti. Si, faccio discriminazione anche in base al cibo, ma non per le uova, siate accorti.

Però è indice, è indice.

Il bello e stupido ha il culto del corpo e della beltà ma più che altro di se stesso. Dei suoi folti capelli sempre in ordine, oppure così deliziosamente scarmigliati. Dei suoi capelli mori e forti, o i suoi boccoli castani, la sua coda bionda e lunga che perderci le dita dentro

Sospiro delle belle e stupide in sala, soprattutto delle bionde, una sviene. Si chiamava Giulia La Giuliva, voleva fare la make up artist. Non è più tra noi.

Il culto del corpo che omaggia una volta al mese con tatuaggi rappresentativi della sua vita. Eccolo, il mio bello e stupido, lo vedo da dietro, ha una croce sull’avambraccio scoperto. Una rosa dei venti, un onda o un’ancora. Ancora? Ancora, ancora. Un giapponese, un old school. Una scritta. Una serie di scritte. I più miti ce l’hanno in italiano e nove volte su dieci è: RESILIENZA. Oppure è la M di Martina, Marina, Mamma, Mia. Mamma mia.

dettaglio di un tatuaggio di Gianluca Vacchi

Scritte in arabo o giapponese. Ed è qui che io identifico lo stupido, il mio occhio ispeziona, la mia mente si muove come un radar navale, capta la criptica scritta in arabo, lì, piccola ed elegante sul costato asciutto, piccola scritta indecente che racconta qualcosa di inutile, banale, mediocre sulla personalità del bello e stupido.

Grazie a dio conosco solo due lingue, ma il mio cuore intuisce che si tratta di una minchiata. Per cui non so, ma vicino a me c’è sempre qualcuno che chiede e, nonostante le rimostranze, si vede che quello vorrebbe dirci, allora bello mio te la sei cercata e mò me lo racconti.

Breve racconto del tatuaggio arabo: خيار

“Quando avevo dodici anni mia sorella piccola ha rischiato di morire a causa di un’indigestione alimentare, ero a casa con lei, madre e padre erano altrove, le ho infilato due dita in gola e l’ho fatta vomitare forte, pure l’anima.

Grazie a quel maledetto venerdì ho capito che so adattarmi a tutte le situazioni e superare alimenti traumatici. Ecco, questo tatuaggio mi ricorda questo. Significa RESILIENZA”.

Inoltre il bello e stupido, in quanto invaghito di sé stesso, è assolutamente convinto di essere il desiderio collettivo (a volte proibito) dell’umanità. Senza che mi dilunghi in una dettagliata descrizione, vi invito a focalizzare Gaston, mettergli le speed di Balenciaga ai piedi e tempestarlo di tatuaggi. Et voila les jeux sont faits.

Gaston

SPOILER: inizio della parte riflessiva e grave dell’articolo.

Virginia inforca gli occhiali, la scenografia cambia, lo studio televisivo ed i suoi ninnoli (Giulia compresa) si dissolvono in un’aula universitaria con una grande lavagna verde, su cui c’è scritto:

“Tutto ciò che di più grande conosciamo ci è venuto dai nevrotici. Sono loro e non altri che hanno fondato religioni e hanno creato magnifiche opere d’arte. Mai il mondo saprà quello che deve loro, e nemmeno quanto essi abbiano sofferto per poter elargire i propri doni. Noi gustiamo le incantevoli musiche, i bei quadri, mille cose raffinate, ma non sappiamo ciò che esse sono costate a coloro che le inventarono, in insonnie, pianti, risa spasmodiche, orticarie, asme, epilessie, e in un’angoscia di morire, che è peggio di tutto quanto”. Marcel Proust, “I Guermantes”, alla ricerca del tempo perduto.

Banchi vuoti ed eco pieno.

Il bello e stupido non riflette, lui si riflette. Non mi riferisco solo all’evidente patologia di cercarsi nei finestrini delle auto, nelle vetrine dei negozi, nei monitor dei televisori, nei tavoli neri e lucidi, nei bicchieri di vino vuoti e nei boccali di birra.

Non parlo degli specchi al cesso, delle tazzine di ceramica, nei vasi di vetro, negli zoom delle foto di gruppo, i pavimenti di marmo incerato, il display del telefono spento e via discorrendo. Certamente un brutto vizio, a ben dire una pratica noiosa, se iterata finanche al primo appuntamento con Giulia La Giuliva (ma lei farà altrettanto, quindi ad ognuno il proprio).

La deduzione a cui mi approssimo è inerente all’estrema incapacità del bello e stupido di formulare riflessioni al di fuori dell’oggetto (soggetto) IO (lui). In spiccioli: riflette sopra sé stesso. Ma anche questo non è del tutto esatto, se non vagliato.

Perché, cari somari, il sé è un dispiegarsi di strati che compongono un’identità tridimensionale e andare in fondo ad ognuno, richiederebbe una capacità di analisi che non è propria degli stupidi. Ma se pensiamo all’azione di uno specchio, e ci riferiamo a quella pensando al verbo riflettere, ecco, questo è ciò che intendo.

Lo stupidello riflette sé stesso in ogni situazione, credendo che la superfice del mondo si muova da lui o per lui. Pensa che tutto avvenga in sua funzione, ed il suo protagonismo è paragonabile al delirio, quando si accosta al vittimismo.

Se in sua presenza ti ritroverai a salutare prima i suoi amici e poi lui, stai pur certo che nasceranno nella sua mente illazioni complottiste, crederà che tu sia adirato con lui, oppure sia talmente invidioso da comportarti da snob. Chiaramente, se non sarà lui il primo cui porgere i tuoi cordiali saluti, è perché vuoi mandarlo affanculo.

Riflettere sé stessi significa nondimeno pensare al proprio standing, alla prossima frase ad effetto, a come risultare più bello. Ci pensa e ripensa assiduamente, anche a nanna, infatti la sua fiaba preferita è data dallo storytelling della sua giornata e tratta fondamentalmente delle avventure di un ragazzo bello e stupido.

Così lo stupidello è coricato accanto a Giulia; lei russa e lui vede in rewind le immagini di sé stesso mentre sorride, si muove, e quel complimento, (focus macroscopico della giornata) resta appeso nella sua mente, come un caldo bacio della buonanotte.

Il bello e stupido matcha le sue foto con frasi rubate a qualche grande poeta o artista; Baudelaire, Verlaine e Rimbaud per cominciare. Oscar Wilde e l’immancabile Shakespeare. Gabriele d’Annunzio. Certamente Pablo Neruda, Herman Hesse, Coelho.

Così è la moda, questo è il suo potere. Convince gli animi che usando i prodotti (materiali o intellettuali) di grande pregio e molto in voga, avvenga un transfert di valori, un’osmosi di personalità tra l’artista e il consumatore; come le gazze ladre, il bello e stupido ruba i gioielli altrui, credendo che il semplice appropriarsene ne legittimi la proprietà.

Quindi, avere un portachiavi della Ferrari suggerisce ricchezza economica, pubblicare una foto con indosso un Rolex e appiccicata sotto lo slogan: “Be yourself, everyone else is already taken”, suggeriscono, si, ricchezza economica, ma anche abbondante personalità. Ovviamente tutto questo è falso care allodole.

E, nonostante sia molto difficile anche per le persone intelligenti, sfuggire ai meccanismi del transfert, per lo stupidello è impossibile. Per cui non c’è analisi nella scelta del marchio da sfoggiare, possiamo avere nella stessa inquadratura Alexander Mc Queen, Gucci, Kenzo e occhiali Tom Ford. Lo sfondo del Colosseo dietro, e la frase: “La parola è una cosa profonda, in cui per l’uomo d’intelletto son nascoste inesauribili ricchezze.” 

Non c’è senso, né dialogo tra un elemento e l’altro, ma come già sottolineato, è l’isolamento mentale, diretto solo al sé estetico, che interessa il ragazzo. Nonostante ciò, se ne conoscesse il significato, e volesse ribattere, lo stupidello risponderebbe: eclettismo.

Ma questo povero Cristo che sto crocefiggendo a dovere, non ha proprietà lessicale, e si ritrova disarmato dalla parola, spoglio di argomenti, nudo di fronte all’umiliazione delle sue carenze intellettive. E a questo punto, l’ultimo punto dell’invettiva, se in aula ci fosse la bellezza, essa non risponderebbe, perché non avrebbe niente da dire. Ugualmente lo sciocco, non si difenderebbe da un attacco che non ha subito.

Ma lo stupidello si roderebbe, ammettendo la sua nullità, offendendosi per l’aspra critica qui (ingiustamente) incassata e dell’unica cosa che davvero penso:

Caravaggio, Narciso 1597- 99

Abbiamo bisogno di bellezza e stupidità in questo mondo effimero, ma non di te, idiota narcisista.