JOKER: dalla Maschera all’Uomo | Metropolitan Magazine

Foto dell'autore

Di Redazione Metropolitan

1869 (sì, parecchio indietro): Victor Hugo pubblica “L’Homme che rit” (“L’uomo che ride”), il cui protagonista, Gwynplaine, ha una deformazione sul viso – provocatagli durante l’infanzia – che ricorda un sorriso perenne.

Il lungometraggio muto “L’uomo che ride”, tratto dal romanzo in questione, esce nel 1928, regia di Paul Leni e interpretazione di Conrad Veidt. Dodici anni più tardi, nel 1940, ispirandosi proprio a questo personaggio, Bob Kane, Jerry Robinson e Bill Finger firmeranno per Dc Comics la serie a fumetti su Batman. In prima linea il celebre clown nero con il suo sorriso grottesco, pronto a diventare uno dei più importanti cult-villain di sempre (nella traduzione italiana è “Il Jolly”).

La filmografia prosegue nel 1966 con “Batman: The Movie” tratto dalla popolare serie televisiva omonima che si arresterà nel ’68. La regia è di Leslie Martinson e l’interpretazione del Joker è affidata a Cesar Romero. Primo lungometraggio a colori per il cinema del personaggio di Batman. Il Joker di Romero ha il volto bianco, le labbra scarlatte con l’immancabile ghigno-sorriso, i capelli verdi e l’abito fucsia. Singolari i baffi che pare l’attore non abbia voluto togliere. Divertente, di buon umore, criminale incallito – più incallito che criminale -.

Il Comics Code Authority parla chiaro: non vuole omicidi, sesso e parolacce ed ecco che la nemesi dell’eroe di Gotham viene a poco a poco ridimensionata, da criminale efferato a ladro sempre più buffo che compie rapine avvalendosi di espedienti clowneschi. Viene presto “mandato in vacanza”, ma riappare nel ’73 grazie a Dennis O’Neil e Neal Adams con “The Joker’s Five Way Revenge”. Nuovo restyling e soprattutto esasperazione della crudeltà: non uccide più con uno scopo ma per puro divertimento. La strada verso la spietatezza è cominciata. 

Cosa sappiamo della sua storia? Ce ne parlano nel 1988 Alan Moore e Brian Bolland con “The Killing Joke”, dove scopriamo, attraverso una serie di flashback, che il “pagliaccio cattivo” inizialmente è un comico di scarso successo che date le difficoltà economiche si unisce ad un gruppo di malviventi per compiere una rapina. Cercando di sfuggire a Batman, comparso sulla scena, cade in una vasca di acidi e ne esce non solo con il viso deturpato, ma anche con evidenti disturbi psicotici. Inizialmente chiamato “Cappuccio Rosso” (maschera di un antagonista di Batman che cela varie identità), il futuro Joker precipita quindi nella follia, accresciuta dalla perdita contemporanea della moglie incinta.

Il 1989 è la volta del binomio Burton-Nicholson (già vincitore di due oscar): un Joker-gangster di classe, con l’abito viola e il cappello abbinato, alterna camicie verdi ed arancioni in evidente contrapposizione al buio pesto di Gotham e del “Pipistrello”. Ha una risata isterica ed appare senza dubbio più inquietante del clown di Romero. Pittoresco, eccentrico, vanitoso, burlone, ambizioso. Nicholson lascerà la sua impronta. Trascorrono diciannove anni ed è il turno di “The dark night” – firmato Nolan -, di Heath Ledger, della storia che si macchia ancora di più di nero con la morte dell’attore. È il 2008 e il Joker adesso ha i capelli lunghi, disordinati, come disordinato è il suo aspetto: sotto la giacca viola indossa un gilet di velluto verde, è trasandato.

Lavora da solo, è affiancato da alleati occasionali che riesce ad avvicinare con l’inganno (i Joker precedenti avevano i loro “Robin”), schizofrenico, anarchico, distruttore. Sottosopra esteriormente ed interiormente, caotico e sadico fino all’inverosimile, ma forse, proprio per questo, più “reale” dei precursori, perché ha perso la maschera comica e si è trasformato in un cattivo senza orpelli. Da pagliaccio a rappresentante del Male, nudo e crudo, della Follia tout court, che non ti riesci a spiegare. L’interpretazione di Ledger porta una nuova oscurità. Quella di Leto, al contrario, (“Suicide Squad”, 2016) possiamo considerarla una parentesi: in netto contrasto con la sciatteria di Ledger, il suo villain è giovane, molto curato, fisicato, pieno di tatuaggi, con i denti neri. Un bad guy psicopatico che rappresenta un inciso tra passato e futuro (Leto in genere “le porta a casa”, non puniamolo troppo, il film non ha aiutato).

Oggi siamo nel 2019 e il clown passa nelle mani di Joaquin Phoenix e Todd Phillips. “Joker”, il titolo del film in uscita, perché la storia ruota esclusivamente intorno ad Arthur Fleck, alle origini del personaggio, protagonista indiscusso senza Batman. Finalmente una biografia che sveli la tragedia nascosta dietro la condanna del ghigno. Ricordiamolo, il fascino del Joker sta nella sua impalpabilità, nel non sapere chi sia, nell’assenza di scopo, di pietà, di redenzione, di ricerca. In una parola, nella sua tragica insensatezza. Umanizzandolo, tutti diventiamo dei potenziali Joker, perché i traumi ci segnano e ce li portiamo dietro sotto forma di cicatrici indelebili, proprio come Gwynplaine. Questo pensiero ci terrorizza? Molto, ecco perché la pellicola, probabilmente, sarà un successo.

«Ho dimostrato la mia teoria. Ho provato che non c’è nessuna differenza tra me e gli altri. Basta una brutta giornata per ridurre l’uomo più assennato del pianeta a un pazzo. Ecco tutto ciò che mi separa dal resto del mondo. Solo una brutta giornata!»

(Batman: The Killing Joke, 1988)
The Joker’s many many incarnations – Photo Credit: io9-Gizmodo