L’ABISSO – di e con Davide Enia

Foto dell'autore

Di Redazione Metropolitan

Tratto da Appunti per un naufragio (Sellerio Editore)

musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri

produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale / Teatro Biondo Palermo / Accademia Perduta – Romagna Teatro

in collaborazione con Festival Internazionale di Narrazione di Arzo

Visto al Teatro India di Roma.

 

ph. Francesco Enia

Sentirsi spaesati è una condizione delegittimante, crea sconforto, paura, probabilmente terrore. È alienante, lo spaesamento, priva della libertà e distoglie l’attenzione da ogni possibilità di raggiungere la stabile certezza di un orientamento. Spaesati, letteralmente “senza Paese”, sbucano gli uomini, le donne e i bambini dalla curva azzurra del Mediterraneo in cui non è affatto dolce naufragar.

Davide Enia, tornato (finalmente, perché se n’è sentita la mancanza a teatro) in scena con L’Abisso, tratto dal suo libro Appunti per un Naufragio edito da Sellerio ha disegnato un racconto per gli spettatori che prende a morsi il cuore e paralizza davanti alla crudità della realtà che l’attore ha realmente vissuto e documentato durante la sua permanenza a Lampedusa.

L’Abisso è un pugno sul mare che Enia decide di rivelare al pubblico attraverso una narrazione delicata e quasi colloquiale. Ci si sente a proprio agio con Davide che racconta la sua esperienza sull’isola sferzata dai venti, si resta tranquilli ad ascoltarlo che parla del mare, dei pescatori o addirittura di suo padre. Ma è una tranquillità come quella del mare prima della tempesta.

fonte: Spettacolo.eu

Una tranquillità necessaria, astuta trovata narrativa, che si ribalta (come un barcone) nel momento in cui ci si sente davvero imprigionati dalle parole e, da spettatori, si diventa testimoni delle brutalità subite da poveri migranti disgraziati che sperano di toccare terra. Ci sono soccorritori energumeni che piangono solo a ricordare le atrocità vissute nelle operazioni di salvataggio, pescatori disperati di sollevare, tra i pesci, cadaveri da denunciare o custodi di cimitero che non sanno più cosa inventare per trovare posto alle salme.

Il fatto è noto, sulla bocca di tutti, ma durante la narrazione morbida di Enia appare come una scoperta, una spiacevole novità, uno svelamento che infrange le scorrettezze riportate dai telegiornalini quotidiani. Ne L’Abisso, Enia mette in evidenza la vita, anzi, le vite che sperano di “fottere un tumore” ma invece crollano sotto le onde alte di un Mediterraneo pieno di cadaveri in cui si tuffano i soccorritori per cercare di scaraventare quante più vite possibile dentro una nave di salvataggio, persino lanciando i corpi come fossero palloni da football.

Le vite degli isolani di Lampedusa, le speranze dei migranti sui barconi, il silenzio scavato di un genitore sono fotografie dettagliate di una condizione di umanità da tenere in considerazione come vera. La verità del cunto  di Davide Enia spiazza e tiene incollati alle poltroncine, mentre si applaude, con il pensiero amaro in testa di aver visto infine quanto di crudele sta accadendo nel nostro mare; Enia riporta con urgenza, nello spazio condiviso del teatro, il tempo presente, la sua crisi e l’inutilità di alcune politiche aberrazioni.

Enia splende, nel gioco leggero dei fari disegnati per racchiuderlo e isolarlo sul palcoscenico, si regala alla platea con soavità e ci rasserena sulle note prelibate e fondamentali di Giulio Barocchieri, entrambi duettano tra canti di pescatori o solletichi di note di chitarra, strumento che ruggisce, come l’angoscia di chi scappa per paura, naviga in condizioni per nulla umane e arriva, ancora impaurito, a vedere una terraferma rischiando di non poterla toccare mai.

Abbiamo tutti le ossa bianche dice uno dei personaggi raccontati da Enia, perché lui le ossa vere le ha viste sotto pelle divorata dal mare di poveri uomini, donne e bambini adagiati senza identità sotto le radici intrecciate di oleandri piantati per proteggerli almeno nella morte.

L’Abisso, in scena al Teatro India fino al 28 ottobre, è uno spettacolo essenziale, da vedere assolutamente.

ph. Gianluca Moro