Leda e il Cigno: dagli studi perduti di Leonardo all’affresco ritrovato a Pompei

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Di Redazione Metropolitan

Sensazionale notizia, quella del ritrovamento dell’affresco di Leda e il Cigno, avvenuto tra ieri e oggi ad opera dell’equipe archeologica diretta da Massimo Osanna nella camera da letto di una domus, nella città di Pompei, che si trova in via del Vesuvio e che probabilmente apparteneva, in passato, ad un ricco commerciante.

Nella stessa casa, di recente, era stato già rinvenuto un altro pannello pittorico, raffigurante Priapo nell’atto di sorreggere il proprio membro genitale e da ciò si deduce che la regina di Sparta “scoperta” sia solo uno dei tanti affreschi celebrativi dei più noti miti greci all’interno dell’edificio.

Sorpresa e meraviglia, dunque, nell’antica abitazione, poiché il pannello raffigura, senza alcuna timidezza, l’atto erotico del rapporto fisico che Leda ebbe con Zeus. Il padre degli dèi, per l’occasione, aveva ben pensato di trasformarsi in cigno per riuscire a sedurla, sfruttando le fattezze docili e sinuose di un animale che non poteva che destare attrazione e simpatia agli occhi di una donna che fino a quel momento aveva cercato di sfuggirgli, trasformandosi anch’ella in altre specie, tra cui, per ultimo, il pesce. Interessante, a tal proposito, è il fatto che Leda si fosse fidata di accogliere il cigno sotto la sua protezione per salvarlo da un’aquila che lo inseguiva per divorarlo. E chi era quell’Aquila? Niente poco di meno che la Dea Afrodite, colei che più tardi ingannerà anche la figlia di Leda: Elena.

Come si verificò nel caso di Danae, penetrata da Zeus tramutatosi in petali d’oro, anche Leda fu messa incinta dal Dio supremo dell’Olimpo e dalla unione della donna con il dio vennero deposte due uova: dal primo uovo nacquero i due gemelli Castore e Polluce, anche detti Dioscùri (ossia figli di Zeus), che tanta parte ebbero negli eventi mitici dell’epica greca, l’uno famoso per le sue doti a cavallo e l’altro per il pugilato; dall’altro uovo, invece, nacquero le due gemelle Clitennestra ed Elena di Troia. Due donne, queste ultime, il cui destino fu strettamente legato alla vicenda del giudizio di Paride e allo scoppio della Guerra di Troia in seguito alla vendetta di Hera e da cui si originò la sconfitta troiana ad opera degli Achei. Fanciulle non remissive, ma fino alla fine convinte di voler lottare per i propri ideali, anche a costo di perder la vita: Clitennestra, determinata, con il compagno Egisto, a vendicare la morte di sua figlia Ifigenia per volere di Agamennone ordendo l’omicidio di quest’ultimo, e poi giustiziata, per questo, da suo figlio Oreste; Elena promessa in sposa a Paride dalla dea Afrodite al momento del giudizio del pomo d’oro, e fuggita via dal primo marito Menelao, consapevole  dell’ira che avrebbe scatentato nel popolo acheo e nei suoi dèi protettori.

Ed è un simbolismo, quello dei quattro gemelli nati da due uova, che va contro ogni legge scientifica concepibile (essendo Leda in quel momento una donna e dunque un mammifero), ma che ben si concilia con l’emblema dell’uovo in quanto portatore, al suo interno, di una stirpe e di un fato, metafora poi ripresa da Piero Della Francesca, durante il Rinascimento, nella sua opera La pala di Brera.

 

“La pala di Brera”, di Piero della Francesca (foto dal web)

 

Simbolismo legato a un mito la cui forte valenza fu, tra i tanti pittori, fortemente avvertito da Leonardo da Vinci, a cui andò il merito di aver realizzato un’opera dal titolo Leda col cigno a tutt’oggi andata perduta e di cui restano soltanto nove tra copie e studi,  i più famosi dei quali situati al Castello Sforzesco di Milano e alla Galleria Borghese di Roma.

La Leda romana rispecchia, nel volto, i tratti tipici davinciani della Gioconda e degli altri personaggi di Leonardo, con quel sorriso appena accennato ed ilvolto da madonna androgina portatrice di enigmi in ogni suo gesto, eppure mantiene, a livello corporeo, un sano e ragionato distacco rispetto al contesto che la circonda e al cigno stesso, che non sembra abbia una seria intenzione di avvicinarla.

 

“Leda col cigno”, di Leonardo Da Vinci (foto dal web)

Del dipinto originale di Da Vinci, invece, come dicevamo, non si ebbe più alcuna notizia successivamente al Seicento e non sapremo mai se anche la Leda andata smarrita, che le fonti riferiscono fosse meravigliosa, portasse con sé la consapevolezza ieratica di ciò che sarebbe stato il futuro dei figli se solo si fosse lasciata andare alle passioni, e perciò scelse di difendersi, oppure cedesse, indifesa, all’atto di procreazione, senza troppo indugiare. Resta comunque il fatto che, molto probabilmente, il ritrovamento dell’affresco nella domus partenopea ribalta decisamente quello che è il paradigma di compostezza apollinea rinascimentale del pittore fiorentino, dando questa volta vita alla reale veemenza all’atto compiuto dal dio del fulmine e della tempesta: la Leda di Pompei, sulla parete riemersa di quella stanza da letto di un liberto voglioso, ha smesso ormai di sorridere, ma mostra al contrario una espressione greve e interdetta, mentre il cigno, seduto sulle sue cosce, la penetra. La sensualità dei colori, accesi e vivaci, contrasta allora con l’ombra espressiva della figura principale, carnosa, ma austera quanto una Maria bizantina.

Dopo secoli di ricerca di un dipinto di Leonardo mai più trovato, la serendipità ha invece portato degli archeologi a scoprire un nuovo affresco, di cui si conosce ancora pochissimo, ma che tanto comunica attraverso l’immagine. Così, la povera Leda che, dopo infinite peripezie per scampare allo stupro, cercava un po’ di grazia, con questo dipinto dai tratti fantasiosamente pornografici ha trovato giustizia. La stessa strana giustizia che, probabilmente, valse a lei il nome di Nemesi.

 

 

GIORGIA MARIA PAGLIARO