Le Macerie Prime di Zerocalcare – recensione

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Di Redazione Metropolitan

Prima di procedere con ciò che vi interessa davvero se siete qui, cari lettori – e cioè la recensione di Macerie Prime, ultima opera del bardo di Rebibbia – mi vedo costretta a quella che probabilmente risulterà essere una noiosissima premessa. Potete saltarla, se volete, ma ve lo sconsiglio: si tratta di spiegare il filtro attraverso cui non posso esimermi dal parlare di Macerie. Se la salterete non venitemi poi a dire che sono di parte o altre amenità del genere. Io premetto, quindi poi fate voi.

Chi vi scrive è una tizia piuttosto ansiosa, con un sacco di complessi e un sacco altrettanto grande di paranoie. Una ragazza non più verdissima laureata in Scienze dei Beni Culturali, specializzata in Editoria che da un paio d’anni fa la tatuatrice, a cui la sola idea di fare un figlio le fa venir voglia di scappare in Australia e darsi all’artigianato locale. Ho solo 29 anni, come, ditemi davvero come potrei pensare a comprare casa, farmi una famiglia? Una famiglia? Ho già una famiglia, e sono la figlia in questo contesto, non potrei mai essere una madre. Oh be’, se non è chiaro il numero di idiosincrasie e paranoie varie raggiunto alla soglia dei trent’anni dalla sottoscritta null’altro ve ne potrà dare un’idea.

Non vi è mai capitato di sentirvi dei chiodi piantati in gola? (foto dal web)

Prima che qualcuno insorga affermando – a ragione – che gli importerebbe di più sapere quante giri può fare una pecora su se stessa prima di svenire, ve l’ho detto, questa premessa era necessaria perché se mi si dovesse tacciare di partigianeria, almeno lo si potrà fare a ragioni spiegate.

Perché si, ora posso affermarlo senza alcun timore: Macerie prime parla al cuore. Quantomeno ha parlato al mio, di cuore. Profondamente. Mi arrischio ad affermare che questo libro mi ha capito meglio di quanto abbia mai fatto una persona. Capita. Per questo se vi aspettate una recensione nel senso più stretto del termine potete anche smettere di leggere: in questo caso la sottoscritta non è in grado di accontentarvi. Non lo è non solo perché in Macerie prime ha rivissuto gli ultimi tre anni della propria vita ma anche perché è un’opera ancora incompleta. Senza la seconda parte – che uscirà questa primavera – non è possibile tirare i fili della narrazione. Di conseguenza mi limiterò a esporvi emozioni e sensazioni provocate dalle vignette di Zero, limitatamente ad un’esperienza puramente personale dell’opera.

Copertina variant (foto dal web)

Considerate innanzitutto che Macerie è un’opera corale e Michele non è tanto interprete quanto spettatore delle vicende.

Il matrimonio di Cinghiale e la sua paura della paternità, di quella cosa che poi è “per sempre sempre sempre sempre”.

Un lavoro stabile per Secco, il lavoro che voleva, che doveva essere di Sara. Quello a cui era predestinata.

L’inamovibilità di Deprecabile, la sua incapacità di immettere anche “solo” la persona amata all’interno del proprio piccolo e ordinato mondo, tripartito ugualmente in canne, lavoro e Campari.

La necessità di cambiare di Katja, il suo voler almeno abitare con il proprio compagno (Deprecabile) dopo ben dieci anni di rapporto e il continuo scontrarsi contro un muro di silenzio.

L’ansia degli accolli, della loro capacità disgregante sui rapporti, anche su quelli più stabili.

La ricerca disperata della svolta, di qualcosa che possa cambiare in senso positivo la propria esistenza.

Il senso di colpa di chi quella ricerca non se la deve accollare più perché, sudando e soffrendo, l’ha svolta se l’è guadagnata.

La rappresentazione della coscienza di Zero (foto dal web)

Il conto che ognuna di queste cose ti presenta, giorno dopo giorno. Il prezzo che ti chiedono, le parti di te che ti sottraggono. Un pezzetto alla volta, il demone dell’Irreversibilità, quello dell’Ingiustizia percepita e quello dello Spolpamento ti scavano un buco dentro, lasciando un vuoto percepibile nella pancia. Perché penso che siano molto pochi i trentenni che leggendo Macerie prime non si ritrovino a immedesimarsi, del tutto o in parte, in uno se non in tutti i personaggi. È un’opera che taglia il cuore perché troppo vera. Tocca i nervi scoperti di un’intera generazione, di quella generazione incapace di trovare uno sbocco di qualsiasi tipo a quel loop grigio in cui si è ritrovata.

Michele Rech aka Zerocalcare in tutto il suo splendore (foto dal web)

Nello stile magistrale che abbiamo imparato a conoscere e amare, avanzando e districandosi tra momenti commoventi ed esilaranti – come al suo solito – Zerocalcare ti apre la bocca e ti infila un fil di ferro arrugginito giù per la gola. Il tuo filo, quello che ti fa chiedere a ogni passo, ogni giorno, se stai facendo la cosa giusta, se stai sbagliando, se qualcosa mai cambierà, se perderai tutto resistendo al cambiamento.

Madrigal interpreta splendidamente queste sensazioni, colorando la copertina della versione regular con toni crepuscolari che richiamano un paesaggio nostalgicamente post-apocalittico, quello stesso scenario che effettivamente Michele inserisce come metafora concreta delle nostre vite: «Se penso che le persone con le quali sono cresciuto – persone migliori di me che ancora adesso quando parlano prendo appunti per segnarmi le cose da dire nelle interviste – fanno l’inventario di notte nei supermercati, l’unico modo che ho di rappresentare le loro vite è questo: un mondo di macerie» (Intervista a Rolling Stones).

La copertina della versione regular, colorata dal grandissimo Madrigal (foto dal web)

Niente di più vero fu mai detto, mai analisi della condizione psico-sociale in cui versano la gran parte dei trentenni attuali fu più lucida.

Permettetemi allora di darvi un consiglio: comprate e leggete Macerie prime perché se anche voi – come me e Zero e Sara e Katja e Deprecabile e Cinghiale – sentite di abitare in un mondo fatto di macerie, se sentite che vi manca un pezzo nella pancia, trovare un amico che vi capisce fino in fondo assume un valore consolatorio e un’importanza sociale incalcolabile. E un libro che vi capisce, che si fa percepire come amico, è un’opera che ha un valore ancora maggiore.

Gaia Cocchi