Myss Keta, la mistress velata dei club di Milano, fa tappa a Roma

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Di Redazione Metropolitan

Tacchi a spillo glitterati, tuta in latex e occhiali da sole. Myss Keta porta a Roma il suo verbo: “una vita in capslock”. Vivere al massimo, scrivere la propria storia in maiuscolo dall’inizio alla fine.

In un’epoca di selfie, ostentazione e apparenza, l’anonimato fa scalpore. Lo sa bene Myss Keta, dama velata dei club milanesi, che sembra disprezzare qualsiasi definizione. A partire dal suo volto e dalla sua identità, rigorosamente eclissati sotto maschere di scena, Myss Keta fa del mistero la sua arte. “Il mio nome è … / e si scrive col capslock”. Ritratto iperrealista della società dell’eccesso e delle contraddizioni, la mistress senza volto censura il suo vero nome ma porta a Roma il suo verbo. Vivere una vita in capslock: vivere alla grande, nonostante tutto. Avere il coraggio di scrivere la propria storia a caratteri cubitali.

‘Una vita in capslock’ di Myss Keta
(Foto dal web)

A metà tra un boia e una Cat Woman, Myss Keta è una creatura ibrida, performer e incarnazione di un’era borderline. Sì perché, a pensarci bene, quelli che indossano la maschera o sono ladri ed esecutori, oppure sono i supereroi che lottano per salvare il mondo. E forse Myss Keta è un po’ tutte e due le cose. Fa a pezzi la vita contemporanea a colpi di rap e dadaismo postmoderno. Talmente verosimili da sembrare una messinscena; talmente schietti da sembrare una bugia. Che la utilizzi contro il sistema o contro le sue vittime, l’arma di Myss Keta è la banalità. Una banalità penetrante che suona come una denuncia. Il ritratto incorniciato di un disagio generazionale. La caricatura di un mondo già brutto.

Myss Kera #UVIC
(Photo Credits: Dario Pigato)

Sostiene che dietro il sorriso enigmatico della Monna Lisa si nasconda una buona dose di ketamina. Dice di essere stata la prima musa di Salvador Dalì e di Andy Warhol. Racconta di aver trascorso le vacanze con Gianni Agnelli ed Edwige Fenech negli anni Ottanta. Mentre negli anni Novanta, Myss Keta è a Courmayeur con Sofia Loren e seduce Massimo D’Alema su una barca a vela in Costa Smeralda. Myss Keta protegge la sua vera identità, indossa una maschera, ma lo fa per dire a tutti la verità in modo scomodo. Trasformista del dionisiaco, Myss Keta è una donna angelica travestita da baccante.

Photo Credits: Valentina De Zanche

Sarà per l’assurdità che la circonda, saranno quei tabù che rovescia continuamente: che la si ami o la si odi, è impossibile non restarne ammaliati. Myss Keta è una Circe in incognito che seduce i vizi capitali, sfiora il no sense e si colora di megalomania. “Sono la gran contessa / arciduchessa, sacerdotessa / controversa, compromessa / la prima donna a dire la messa” dice nel singolo Xananas. Mescolando l’eccesso a giri di parole, Myss Keta trasforma l’insensatezza in qualcosa di ordinario. Sconvolge gli stereotipi con movenze sensuali, rendendoli assurdi e desiderabili.

Photo Credits: Color Photo

Diventata famosa nel 2013 con il singolo Milano, sushi e coca, Myss Keta è uscita dall’orbita milanese. Complice la viralità del web, il suo verbo si è diffuso. La sacerdotessa ha convertito nuovi proseliti e può adesso predicare in libertà le sue messe nere. Inaugurato nella Milano tutta “strisce, righe e moda”, il tour #UVIC fa adesso tappa al Monk di Roma. Il 30 aprile, nella capitale, Myss Keta può finalmente ridere in faccia a quell’Italia che ha creduto che Milano “Borgo, Vogue e Plastic” non fosse altro che Milano. Dopo Roma, sarà la volta di Bologna, Livorno e Molfetta. Tutte  serate in capslock: dissacranti e catartiche, come ogni live performance di Myss Keta.

Foto dal web

Una vita in capslock di Myss Keta è un omaggio al lato oscuro della vita. Una vita irrequieta, che scalpita e sta stretta. “Il lavoro è uno strazio / sono senza contratto / non ricordo la password / per trovare il mio spazio / è una vita del cazzo / se non mi faccio mi ammazzo”. Salvaguardata come uno scrigno, potente quanto un vaso di Pandora, la vita col capslock di Myss Keta minaccia di esplodere insieme alle catene che la vogliono tenere ancorata al paradiso. Perché il paradiso oggi è un luogo inospitale, una terra vuota: un lusso per viscidi, corrotti e leccapiedi. E allora è molto meglio rimboccarsi le maniche, indossare una nuova maschera, e rendere abitabile l’inferno.