Romaeuropa Festival 2018

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Di Redazione Metropolitan

Roma, Ex Magazzini generali. Zona in cui l’arte la ritrovi già per le strade, sui muri. Il luogo ideale per presentare un evento che dell’arte ne fa il proprio carburante. Arrivo in anticipo. Scatto qualche foto. Aspetto. Leggo la brochure dell’evento.Il Romaeuropa Festival (romaeuropa.net) è già alla sua trentatreesima edizione. Il fine, quello di presentare, conoscere, introdurre, avvicinare.

 Lo slogan, non a caso, è Between Worlds: tra i mondi. Mondi che si incrociano, che si attraversano.

locandina REf 2018
(Photoedit:askanews.it)

Gli artisti provengono da ogni dove. Anche da quel dove in cui non si ha niente, se non la propria arte, la propria passione. Africa, Vietnam, India, Iran solo per citarne alcune. Ventiquattro nazionalità differenti, per un totale di 311 artisti coinvolti con i loro suoni, le loro visioni di mondi utopici e immaginari, storie che raccontano le contraddizioni e le trasformazioni in atto nella nostra contemporaneità.

Scena tratta dall’opera inaugurale del festival: Kirina (Photoedit:romaeuropa.net)

Portano con sé la propria storia, la propria memoria e la ritrasmettono attraverso musica, danza, teatro. Lasciano che sia l’arte a parlare per loro e a raccontare una storia che troppo spesso crediamo di conoscere fin troppo bene.

(Photoedit:wantedinrome.com)

L’incontro si svolge in due giornate. Due giorni in cui ho incontrato un coreografo che ha trovato fortuna e terreno fertile in Francia; uno scrittore-economista che ci presenta il suo libro; un sindacalista un po’ scettico, o sarebbe meglio “etichettarlo” con il suo nome, cioè realista. 

 

Lunedì 19 avviene l’incontro con Serge-Aimè Coulibaly, coreografo burkinabè che firma l’opera ad apertura del Festival, Kirina: un viaggio tra Africa e Occidente all’insegna del movimento e della commistione d’immaginari nata dall’energia di una crew d’eccezione composta, insieme al coreografo, da Rokia Traorè e Felwine Sarr.

 

Il coreografo dell’opera Kirina: Serge-Aimè Coulibaly (Photoedit:web)

Un’opera definita dal New York Times come: “uno spettacolo sbalorditivo capace di fondere sulla scena danze ritualistiche, estatiche e sudate, musica propulsiva e una narrazione incantatoria in lingua francese, e di dar vita a un’arte fresca ed elettrizzante”.

 

Nata dall’incontro tra mitologia africana e cultura occidentale, l’opera deve il suo nome alla località situata nell’odierna Guinea dove si è svolta l’ultima battaglia da cui è nato l’impero mandingo, dopo la quale fu redatta una forma primigenia della carta di dichiarazione dei diritti dell’uomo.

Locandina opera Kirina
(Photoedit:romaeuropa.net)

 

La scelta del titolo è stata dettata dalla volontà di raccontare un momento storico caratterizzato da un lungo periodo di pace e prosperità e di restituire un’immagine dell’Africa lontana dagli stereotipi con cui è raccontata dai media occidentali, di rintracciare i punti di contatto tra la storia di due continenti.  

Kirina
(Photoedit:romaeuropa.net)

Ogni elemento costitutivo dell’opera è un tassello portatore di significato: la danza come metafora della migrazione odierna; la musica, quella della regina della musica africana Rokia Traorè, come voce collettiva di un popolo, del suo popolo.

 

La visione d’insieme dell’opera è insita nelle stesse parole del coreografo, Serge-Aimè Coulibaly:“L’Africa non è la periferia del centro città, l’Europa […]. Kirina è la testimonianza della realtà afriana, una realtà che va al di là di ciò che l’immaginario collettivo, condizionato dai media, crede”.

 

Kirina (Photoedit:romaeuropa.net)

Questa nuova edizione del festival che si disloca tra alcuni dei luoghi più suggestivi della capitale quali il Parco della Musica, il salone di Pietro da Cortonadi Palazzo Barberini, l’Aula OttagonadelleTerme di Diocleziano, Il Palazzo Falconieridell’Accademia d’Ungheria, Villa Medici, Il Mattatoio, il MAXXIe numerosi altri, inaugura una nuova partnership con Robinson, l’inserto domenicale di cultura de La Repubblica.

 

Proprio nella giornata di martedì 18 ho assistito al primo Talk di Robinson, moderato dalla giornalista Francesca Cafferi, tra lo scrittore ed economista, autore del libretto di Kirina,

Felwine Sarre il dirigente sindacale USB Aboubakar Soumahoro.

 

Lo scrittore Felwine Sarrdeve la sua notorietà anche al libro Afrotopia, titolo che rimanda a qualcosa di “altro” più che “qualcosa che non esiste” quasi a voler sottolineare i punti di incontro ,ma anche le numerose differenze, insite in questo paese, a quanto l’Africa abbia contribuito allo sviluppo della musica, della danza, del teatro.

copertina libro Afrotopia
(photoedit:web)

Come egli stesso ha dichiarato:” Dobbiamo essere noi a scegliere di quali valori abbiamo bisogno”. 

 

Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia, quella meno romanzata, meno idealizzata, più reale, più vera. A raccontarcela è Aboubakar Soumahoro, sindacalista italoivoriano impegnato nella lotta per i diritti dei braccianti, nuovi schiavi, utilizzati nella raccolta dei pomodori, delle arance, nel lavoro nei campi del Sud.  Ci parla di persone che hanno un volto, un nome, aspirazioni, desideri, paure.  Di una gioventù che non vuole più essere isolata.

incontro tra Robinson, Felwine Sarr e Aboubakar Soumahoro (photoedit:Claudia Cangianiello)

L’incontro termina sulla scia di un dibattito. L’argomento è proprio un progetto in cui lo scrittore si trova attualmente coinvolto commissionatogli dal presidente francese Macròn, un’operazione di restituzione delle opere d’arte razziate in Africa negli anni della colonizzazione francese e oggi custodite nei maggiori musei del paese europeo.  

 

(photoedit:web)

Il dubbio, che a mano a mano che parla si trasforma in certezza, è che queste opere potrebbero rimarginare quella memoria che è quasi andata distrutta, memoria senza la quale un popolo non può avere presente e non può proiettarsi verso il futuro, ma si rischia, ed è qui che nasce l’etichetta di scettico, che un giorno potrebbero non esserci più africani a cui restituire la propria memoria.

 

Alle volte farebbe bene guardare le cose da un’altra prospettiva. Basterebbe salire su una sedia per rendersi conto che la stanza da lì sembra più grande, o sdraiarsi per terra e accorgersi di quanto sia alto il soffitto. A volte non basta sentire le numerose campane, a volte tutto ciò che serve è rimanere in ascolto e restare in silenzio perché non è detto che la nostra opinione sia quella giusta, come non è detto che ciò che ascoltiamo sia la verità.  

Siamo noi a creare gli ostacoli. Ma fortunatamente,gli ostacoli,esistono per essere abbattuti e che a farlo sia la musica, è solo un modo più piacevole di farlo.

Claudia Cangianello