The Zen Circus all’Atlantico di Roma: come un fuoco rock in una stanza

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Di Rossella Papa

All’Atlantico di Roma, ieri sera, the Zen Circus ci hanno dato una sola regola: “Più casino fate, più ne facciamo noi”.

Ed è stato semplice, allora, far saltare il palazzetto gremito di gente in un fuoco rock di sudore e grida, di adrenalina ed energia. Due ore intense di un concerto che pochi ventenni avrebbero sorretto;  invece the Zen Circus ci hanno stesi tutti, con una grinta e un ritmo senza respiro.

The Zen Circus
(PH: Valerio Sablone)

Animali da palcoscenico spogli e affamati (e direi, soprattutto, assetati) che hanno portato l’Atlantico sulla punta dei piedi per poi farlo impazzire. Così sudati e affannati dalla musica come dopo ore di lenzuola ad agosto.

Con the Zen Circus, finalmente giovani in prima fila non per cantare a bassa voce canzoni melodrammatiche, per ricordarsi della propria vita, ma giovani infuocati che la gridano come fosse una maledetta preghiera. Niente accendini a ritmo ma spinte violente l’un l’altro come un pacifico rito liberatorio.

Non davano sconti, the Zen Circus, nemmeno un momento per riposare: un viaggio tra la Provincia e le vecchie case, tra i “Qualunquisti” e gli eroi, qualcuno per cui dire “Andate tutti affanculo” , o da salvare nel “Giorno di Natale”, qualcuno a cui ricordare che “Sono un umano”.

Andrea Appino.
The Zen Circus
(PH: Valerio Sablone)

Un’altalena tra i vecchi album e l’ultimo capolavoro dei The Zen Circus, Il fuoco in una stanza, ha mantenuto alta la tensione emotiva di tutta la platea. Perché così facile non è, riconoscere le vecchie canzoni dalle nuove: forse un addolcimento di temi, una linea più elettrica e rock rispetto all’affezionato folk-punk, ma è sempre lo stesso oblio, la stessa curva della vita sulla morte, la stessa rabbia vestita d’adolescenza, una velata nostalgia per “il mondo come lo vorrei“.

Al mio fianco c’erano adolescenti silenziosi, adulti con vecchie giacche di pelle nera, coppie che limonavano e poi qualcuno, nascosto, che dopo il caos di “Figlio di puttana”  aspettava il momento in cui anche il fuoco che bruciava sarebbe diventato solo dolce calore.

Era il momento in cui la voce dei The Zen Circus dallo schiaffo dei “Vent’anni” si è stretta nelle carezze pungenti di “Una stagione” dove sentiamo persino che “L’anima non conta“.  Una ninna nanna rock, una poesia coi tacchi alti, una margherita appesa al muro con un chiodo dorato.

The Zen Circus, Atlantico
(PH: Valerio Sablone)

Se ad ogni concerto sembra di uscire da una festa, con The Zen Circus questa mi è sembrata piuttosto una lotta. Un salto sudato nella folla, nella faccia di mio padre e mia madre, nelle voci stupide dei vostri amori scordati, nella bocca del Lupo. Tutti contro tutti, insieme a tutti.

E, quindi, viva la guerra: tanto vivi si muore.

Ha fotografato per noi la serata Valerio Sablone. Vi invitiamo a visitare la sua straordinaria photo gallery per avere un approfondimento visivo della serata.

 

Rossella Papa