Elena Arvigo chiude la sua trilogia al Teatro Torlonia con Una ragazza lasciata a metà, una drammaturgia tratta dal romanzo di Eimear McBride, andato in scena lo scorso 30 e 31 marzo. La trilogia comprendeva altri due lavori tutti al femminile: 4:48 Psychosisdi Sarah Kane e Il Doloredi Marguerite Duras.
La scena è luogo di rovi e reti metalliche di quelle che si usano per recintare. Spuntano sei leggii in ferro ossidato. Elena Arvigo è già lì, accoccolata tra le foglie, ed è già la bambina e poi subito la donna che darà voce a questo inteso romanzo scritto dalla scrittrice irlandese all’inizio degli anni duemila. La storia è quella di una ragazza molto dotata con una famiglia molto difficile: la madre troppo religiosa, il padre che abbandona la famiglia, la violenza sessuale dello zio, e soprattutto un rapporto molto profondo con un fratello con disturbi mentali che morirà di cancro.
Elena Arvigo canta quasi sul palco, accogliendo dentro di sé tutte le voci di questo romanzo. Siamo nella dimensione della lettura più che dello spettacolo, eppure i suoi leggii s’intrecciano, e i suoi alti e bassissimi portano lo spettatore in quella campagna britannica. I boschi, le preghiere imparate e ripetute, le rive del lago, funerali coi panini al formaggio, il bus della scuola, e poi l’università in una grande città, quindi il pub, l’amica del cuore, i flirt. È un concentrato di esistenze vivide quello che porta in scena la Arvigo avvalendosi della collaborazione registica di Giuliano Scarpinato
e di Tullia Salina Attinà come assistente alla regia.
I leggii cadono, uno alla volta, come alberi secolari. Sono le persone che la protagonista inchioda e poi supera, sono le fasi della vita da guardare da un altro punto, non per forza andando avanti, basta anche spostarsi un po’ per vederle scivolare via.
È un lungo lamento di solitudine. Le dame affrescate sulle pareti del Teatro Torlonia guardano attonite questa performance, poi spostano un po’ lo sguardo perché Una ragazza lasciata a metà è un lavoro senza respiri, di parole sputate, di grande ferocia.