Vakula si crede Rocco Siffredi e umilia 4 DJ

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Di Redazione Metropolitan

“Per Aspera Ad Astra” è l’Ep del dj ucraino Vakula con l’alias: Rocco Siffredi. L’artwork del disco ritrae Peggy Gou, The Black Madonna, Nastia e Nina Kraviz a bordo di una navicella spaziale a forma di pene

Vakula, dj ucraino, ha pensato bene di produrre un ep intitolato “Per Aspera Ad Astra” con lo pseudonimo di Rocco Siffredi; la copertina in stile manga, disegnata da Wanda Kuchvalek, ritrae quattro astronaute rappresentate da Peggy Gou, The Black Madonna, Nastia e Nina Kraviz che pilotano una navicella spaziale dalla forma fallica.

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L’artwork che ritrae Peggy Gou, The Black Madonna, Nastia e Nina Kraviz

Un sorriso nasce spontaneo nei confronti di un atto del genere ma si contorce in una smorfia subito dopo. Nello zeitgeist (spirito del tempo) odierno che ci avvalla, questo comportamento adolescenziale e privo di gusto lascia un sapore amaro in bocca.

La sensazione sgradevole non deriva tanto dal fatto in sé, quanto dal cavalcare un’onda atavica che traspone un pensiero ignorante più che misogino o razzista.

Smentendo i fatti che lo competono, Vakula, prima ammette di aver giocato, poi di avercela contro la “commercializzazione” musicale, ed infine reputandolo un gesto d’amore nei confronti delle donne. Storcendo il naso alle dichiarazioni affidate ai social, il dj non si è accorto che indossando i panni del porno-attore (solo di nome e non di fatto) non ha generato nessuna empatia nei suoi confronti.

Prendiamo ad esempio DVS1. Qualche tempo fa è girato un suo video su Youtube in cui sfogava il suo punto di vista sull’importanza di salvaguardare il club rispetto al festival, luogo in cui la figura del dj rispecchia l’artista vero, e non la figura commerciale “spalasoldi” per quell’ora d’esibizione in cui il pubblico non percepisce nemmeno cosa sta ascoltando. Di certo per esprimere il suo parere da addetto ai lavori non si è immerso in artwork ambigui e discriminatori.

Tralasciando la componente commerciale della musica, discutibile in altre sedi, vantarsi di queste “malefatte” ove la figura del maschio umilia quella della donna ha scie puerili e squallide.

Errare è umano, perseverare è diabolico– e dopo il precedente di Pacou, diverso nella forma ma simile nei contenuti, questa sorta di nonnismo e dispotismo di “io sono” quindi posso, riporta alla luce l’insignificanza del contesto in cui ci si trova e dei mezzi che si hanno a disposizione sbattendo la porta in faccia al buon senso e alla professionalità.

Non si voglia fare del politically correct, corredato da eufemismi, la parte operosa del linguaggio utilizzato in questo articolo, ma avere la consapevolezza di poter guadagnare posizione e visibilità raffigurando donne sognanti di sorvolare lo spazio su di un cazzo gigante dimostra un’arretratezza ideologica che non ci si aspetta nel campo artistico, figurarsi in quello musicale di cui fa parte.

La paura di essere sovrastati dalla “commercializzazione” non può e non deve giustificare l’esposizione di una risata fragorosa dietro a questi atti che declinano il fatto in mera polemica, radicando il sessismo di genere in una zavorra buttata in mare, per poi farla riemergere in questioni analoghe con fazioni divergenti.

Nel 21 secolo ragionare ancora per generi, classificando dj e dj-ette, domandarsi su come si è arrivati a certi livelli, o al “vieni che ti insegno io” sono il chiaro riferimento che la frustrazione generata dai propri schemi mentali è il punto di arrivo per alcuni, che si rifugiano nella semplicità delle soluzioni ribadendo il classico “a pensare male è peccato, ma spesso ci si azzecca”.

E dunque via a spasmodici attacchi, vili nei contenuti e odiosi nelle connotazioni, maledicendo il successo e l’eternità che tanto si auspicano, relegando il talento e la passione in discorsi circostanziali, di genere e di classismo pur di puntare il dito verso la ciclicità storica e tutto quello che ne fa parte, soprattutto il pubblico.

Ma d’altronde generare caos è meglio che non farlo.

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